ESCLUSIVA ICN: Intervista ad Árni Vilhjálmsson

(Intervista del 2 ottobre 2020)

Árni Vilhjálmsson pur di giocare con continuità e portare la sua carriera ad un livello superiore, non ha mai esitato a partire e lanciarsi in vere e proprie sfide. Inutile riempirvi di premesse, Árni è stato talmente gentile da concedermi quasi due ore della sua giornata, tempo in cui abbiamo davvero parlato di tutto. L’intervista sarà più completa che mai. Non mi resta che lasciare la parola al nostro protagonista!

ICN: Ciao Árni! Sei nato a Reykjavík ma sei cresciuto come calciatore a Kópavogur con il Breiðablik. Come te, altri ottimi calciatori come Jóhann Berg Guðmundsson, Alfreð Finnbogason, Baldursson, Ingason si sono messi in evidenza in questo fantastico settore giovanile. Quali sono i tuoi ricordi migliori con il Breiðablik? Quali pensi che siano le ragioni del successo di questa accademia?

AV: Ciao Alessandro! I miei primi ricordi sono probabilmente i migliori che ho di quella esperienza. Giocare con i miei migliori amici dall’accademia fino alla prima squadra è stato molto bello. L’accademia è di altissimo livello, abbiamo il miglior settore giovanile d’Islanda, vincevamo praticamente tutte le partite. Anche la mia ultima stagione in Islanda è stata ottima, ho segnato tanti gol ed attirato l’attenzione all’estero. Credo che le ragioni del successo di questa accademia siano soprattutto la grande scelta di giovani da scegliere sul territorio, allenatori preparati e le ottime strutture (probabilmente le migliori del Paese) con erba sintetica e copertura che ti permettono di allenarti anche quando fa troppo freddo per giocare fuori. Ovviamente non ho una reale spiegazione sul perché cosi tanti calciatori talentuosi siano usciti proprio da questo settore giovanile ma credo che tutti questi fattori di cui ti parlavo, più la grande mentalità, facciano la differenza. La mentalità Islandese in ogni caso, ti porta a non arrenderti mai.

ICN: Gli Italiani adorano l’Islanda e la vostra Nazionale. Molti di noi tifavano per voi a Euro 2016 ed al Mondiale in Russia. Tu hai giocato in tutte le Nazionali giovanili ed hai anche esordito in Nazionale maggiore. Cosa significa per te indossare quella maglia? E più in generale, sapresti spiegarci cosa significare essere Islandese?

AV: Essere Islandese significa tanto, anzi, significa tutto. Quando vieni da una Nazione cosi piccola sai per chi giochi. Giochi per i tuoi amici, giochi per la tua famiglia, giochi per tante persone che conosci. Per me è un grandissimo onore. Tutti guardano la Nazionale, anche le persone che non seguono il Calcio. Quando gioca la Nazionale si chiude tutto e si va a casa per guardare la partita. È un grandissimo motivo d’orgoglio essere scelto per rappresentare il tuo Paese. La sensazione che si prova quando si indossa quella maglia è indescrivibile. Quando giochi per l’Islanda, poco importa chi tu sia, sei pronto a morire per quella squadra, per i tuoi compagni. È difficile da spiegare ma sai sempre che se sei in difficoltà ci sarà qualcuno pronto ad aiutarti. Il nostro non è un gioco delicato, è come se fosse una battaglia.

ICN: Dopo il Breiðablik hai firmato con il Lillestrøm. Come definiresti la tua prima esperienza lontano da casa? È stata dura?

AV: Si, è stata difficile per diverse ragioni. Ho avuto la fortuna di avere come compagno di squadra il mio ex Capitano al Breiðablik e lui mi ha aiutato molto. La cosa più difficile erano probabilmente gli allenamenti, ci si allenava molto di più anche perché in Norvegia hanno lo status di professionisti. Ero molto giovane e sai come ti senti a quell’età, pensi di poter diventare il miglior giocatore del mondo ma sul serio, a 19/20 anni soffrivo l’intensità, la fisicità di quegli allenamenti. Cercavo di tenere il ritmo ma poi mi sono infortunato abbastanza rapidamente. Non l’avevo mai detto a nessuno ma quell’infortunio è stato durissimo per me da accettare. Sai, sei entusiasta, sei un ragazzino, diventi professionista, la tua carriera all’estero inizia e poi ti ritrovi solo, infortunato per mesi. Mi mancavano i miei amici, la mia famiglia. Potrà sembrarti strano ma con il tempo ho capito che quell’infortunio è stata una cosa positiva, mi ha fatto maturare oltre che rendermi più forte caratterialmente. 

ICN: Hai lasciato la Norvegia per andare in Svezia al Jönköpings Södra. Com’è stato l’impatto con un campionato più complicato come l’Allsvenskan?

AV: Per me c’era una grande differenza tra Norvegia e Svezia. In Norvegia ci si allena soprattutto sulla corsa o in palestra, simile volendo all’Islanda che come concetto di gioco è molto “Kick and Run”, in più in Islanda si picchia tanto, a volte ti ritrovi davanti un colosso di oltre 190 cm che ha come unico obiettivo quello di fermarti, poco importa come. In Svezia mi sono trovato meglio perché era un gioco più tattico ma soprattutto più tecnico. Anche questo non è stato un momento facile per me ma al tempo stesso è stato un momento felice, ho tanti bei ricordi. C’era davvero una bella atmosfera con i compagni, con il tecnico. Credo di aver segnato solo 1 gol in quella stagione di Allsvenskan ma mi sentivo bene, sentivo la fiducia. Avevo un ruolo diverso, un po’ più lontano dalla porta e dovevo lavorare per i miei compagni ma mi sono messo a disposizione della squadra nonostante io preferisca stare davanti e segnare gol. Malgrado l’infortunio alla spalla che mi ha tenuto fuori per un po’, lo considero davvero un bel periodo.

ICN: Ricapitolando, hai giocato in Islanda, Norvegia e Svezia. Quali sono le più grandi differenze tra questi tre campionati? E quali gli aspetti che preferivi e/o detestavi?

AV: Le differenze come ti dicevo sono soprattutto lo stile di allenamento Norvegese e nella maggiore attenzione tattica in Svezia. Il campionato Islandese lo considero un’ottima lega per iniziare a giocare quando sei ragazzo, meno pressione e ti confronti con calciatori adulti che ti aiutano a crescere. Poi è giusto andare a “vedere il mondo”. Dal punto di vista fisico l’Eliteserien è davvero dura come lega. Sfidare squadre di alto livello come Rosenborg, Molde, Odds BK che all’epoca era un’ottima squadra, era complicato e andare a fare certe trasferte non era affatto semplice.

ICN: Tromsø?

AV: Eh si, Tromsø ma anche Vålerenga. In quelle partite considerate più “semplici” hai chances ma devi stare sempre molto attento. Lo considero davvero duro come campionato. In Svezia invece se oggi la lotta è magari tra 4/5 squadre, all’epoca il Malmö era nettamente la più forte, giocavano in Champions League. Il livello è simile ma come ti dicevo prima in Norvegia è molto più fisico, in Svezia più tecnico quindi mi trovavo meglio in quest’ultimo.

ICN: In Italia molti pensano che non ci siano differenze rilevanti tra i vari Paesi Nordici, finendo poi per considerarli quasi tutti uguali. Hai vissuto in tre di queste Nazioni, puoi aiutarci a capire le differenze nello stile di vita tra Islanda, Norvegia e Svezia?

AV: C’è tanta differenza soprattutto con l’Islanda. Alla fine noi viviamo su un’isola, da soli, lontani da tutti gli altri. Dal punto di vista lavorativo stiamo bene ma abbiamo un inverno molto duro. Come mentalità siamo grandi lavoratori, anche in Norvegia e Svezia hanno un’ottima mentalità ma noi siamo sempre stati abituati a lavorare di più rispetto agli altri, sai, per emergere ed essere considerati. Siamo pochi ma per quanto lavoriamo, è come se fossimo molti di più. Per noi è uguale se sei calciatore o pescatore, poco importa, quello che conta è che tu dia sempre il massimo di te stesso. Poi capisco un po’ quando dicono che ci assomigliamo perché mangiamo lo stesso cibo, ci piace stare riuniti nei café o perché impariamo abbastanza facilmente le lingue degli altri Paesi del Nord Europa ma noi Islandesi siamo un pochino meglio (ride).

ICN: Dopo l’esperienza al Jönköpings Södra, hai lasciato il Nord Europa per andare in Polonia al Termalica. Non ho mai capito sinceramente perché non ti abbiano mai dato una reale opportunità nell’undici titolare. Le poche volte in cui sei partito dall’inizio hai segnato e sei stato decisivo, come in Coppa polacca contro il Cracovia. Potresti spiegarci le ragioni se ti va?

AV: Vorrei davvero poterlo fare. Si è creata una situazione strana che non credo fosse legata al Calcio. Sin dal mio arrivo non ho sentito fiducia ma ho continuato ad allenarmi bene. Come dicevamo prima, la mentalità Islandese ti porta a dire che se non sei titolare oggi, magari lo sarai domani quindi ho mantenuto il massimo impegno. Ho continuato per 6 mesi ma la situazione non cambiava. Non ho voglia di parlare di contratti o altre cose simili ma è stato davvero un periodo strano.

ICN: Questa situazione ti ha poi portato in Ucraina. L’inizio al Chornomorets è stato incredibile. 7 gol in 10 partite e se il club ha potuto sognare di restare in massima serie, il merito è stato soprattutto tuo. Potresti raccontarci questa tua esperienza?

AV: Sono stato molto fortunato ad andare lì dopo il periodo in Polonia. In quel periodo avevo solo questa proposta per andare via in prestito e sinceramente non conoscevo nulla del Paese, nessun Islandese aveva giocato in Ucraina. Non sapevo a cosa andavo incontro ma sinceramente volevo solo giocare a Calcio. Oltretutto il campionato Ucraino è di buon livello, con buone squadre. Ho accettato e sono partito immediatamente. Prima partita, subito una grande sfida contro lo Shakthar. Ero arrivato solo due giorni prima, avevo dormito forse 3 ore a notte e mi ritrovavo in campo contro la squadra di club più forte che avessi mai affrontato. Entro a 20 minuti dalla fine sullo 0-0, non come punta ma come ala sinistra. Cinque minuti dopo il mio ingresso all’esordio, provoco un rigore e perdiamo 1-0. In quel momento ho pensato: «non è possibile, questo è il peggiore inizio della storia». Dopo la partita sono andato negli spogliatoi e ho detto ai miei compagni: «Ragazzi mi dispiace, questa sconfitta è totalmente colpa mia, vi prometto che da me avrete gol e darò tutto per questa maglia». Da quel momento qualcosa è cambiata, giocavo sempre con la testa a questa promessa fatta. Per me è importante segnare gol ma non mi importa del numero, voglio solo che siano gol decisivi per la vittoria. Chornomorets in quel periodo non giocava bene, nonostante fosse un club importante in Ucraina. Quel gruppo però era davvero una famiglia, nessuno mi ha dato la colpa, tutti erano dalla mia parte anzi proprio per lasciarci tutto questo alle spalle, poi hanno organizzato un barbecue tra giocatori.

Avevo proprio bisogno di un ambiente come quello. Quando ti trasmettono cosi tanta fiducia, cambia tutto nella testa di un calciatore. Mi piaceva la città, mi piaceva il gruppo, ho iniziato a segnare diversi gol, tutto andava bene. Odessa ormai la considero una delle più belle città in cui sia mai stato. Per quanto riguarda l’accoglienza della gente, tutto benissimo ma sai, quando sei calciatore e giochi bene sei il benvenuto ovunque, è quando giochi male che ti rendi conto davvero.

ICN: Hai disputato la passata stagione con il Kolos Kovalivka, autentica sorpresa dello scorso campionato Ucraino. Di tutti i campionati stranieri in cui hai giocato, possiamo dire che hai espresso il tuo gioco migliore in Ucraina? Se si, perché?

AV: Direi di si, strano vero? Questa è una lega in cui c’è tutto, tecnica, tattica, gioco fisico. Se guardiamo il ranking UEFA hanno una posizione importante. Personalmente mi ha permesso di segnare gol, diventare più forte mentalmente e credo che sia arrivato nel momento giusto della mia vita. Adesso voglio passare al livello superiore, sono molto più maturo sia dal punto di vista calcistico che da quello umano. Adoro l’Ucraina ma uno degli aspetti più complicati era sicuramente la lingua.  

ICN: Non tutti parlano Inglese vero?

AV: Al Kolos nessun calciatore, nessun allenatore, nessuno dello staff parlava inglese. Devi stare sempre concentrato per capire le situazioni, ci vuole una grande apertura mentale. Mi mostravano gli schemi semplicemente a gesti ed una volta a settimana, solitamente prima della partita, avevo a disposizione un interprete. La cosa positiva è che quando ti ritrovi in una situazione del genere impari velocemente la lingua. Adesso riesco a parlare un pochino il Russo e se si parla di Calcio, riesco a capire quasi tutto. Dopo i primi 6 mesi ho iniziato a capire i loro scherzi, il loro umorismo quindi capivo meglio la loro cultura ma prima è stato difficile. Avevo sempre l’impressione di essere ben considerato, il loro linguaggio del corpo lo faceva pensare ma chissà cosa dicevano realmente di me soprattutto all’inizio visto che non li capivo (ride). In ogni caso al Kolos c’è davvero un bel gruppo, una grande organizzazione, non sono un caso gli ottimi risultati di questi anni. In entrambe le esperienze in Ucraina mi sono trovato benissimo.

ICN: In quale campionato ti piacerebbe giocare in futuro?

AV: Il mio sogno da ragazzino era passare dall’Islanda all’Olanda e poi dall’Olanda all’Italia, come Zlatan! Ho avuto la fortuna da piccolo credo a 12 anni, di andare con la mia famiglia e le famiglie di alcuni amici di mio padre in Italia, a Firenze. Abbiamo affittato una grande casa in cui stavamo tutti ed abbiamo attraversato un po’ l’Italia. Mentre scoprivamo questo Paese ho detto a mio padre «voglio giocare qui». Poi siamo andati a Milano ed abbiamo visitato San Siro come turisti, era vuoto ma era cosi grande. Volevo giocare lì, volevo giocare al Milan. Solitamente in Islanda tutti sognano di giocare in Premier League. Il sogno per me è ancora presente e mi batterò sempre per qualcosa di più grande di quello che ho già adesso. L’ambizione è fondamentale nel Calcio come nella vita.

ICN: Questa l’avevo preparata prima ma te la chiedo lo stesso. Segui il Calcio Italiano? Hai un club o un giocatore Italiano preferito?

AV: Visto quanto detto prima, direi proprio di si (ride). Il mio giocatore preferito era sicuramente Alessandro Del Piero, poi subito Totti. Segnavano davvero da dove e come volevano. Anche Inzaghi mi piaceva, sicuramente per la sua incredibile mentalità, la sua fame di gol. Impossibile poi non citare Pirlo, quant’era forte lo sappiamo tutti ma per me era pura arte. È normale che giocatori con questa classe e con la loro grande mentalità finiscano per ispirarti, cerchi di prendere un po’ da tutti. In Serie A poi ovviamente Zlatan Ibrahimovic eh!

ICN: Definiresti Zlatan un’icona Nordica?

AV: Assolutamente si. Ho letto anche il suo libro. In Scandinavia si parla tanto di Zlatan, ispira tanti ragazzi ma credo lo faccia in tutto il mondo. Non rispecchia il classico stereotipo dell’uomo del Nord Europa calmo e riservato, forse a molti piace proprio per questo.

ICN: Potresti spiegarmi la tua esultanza “della ciotola”?

AV: Certo (ride). È una cosa tra me ed un mio amico. Una volta guardando la TV avevamo riso per una scena simile e sta a simboleggiare, “ho fame, ne voglio ancora”. Sai, quando fai un gol, hai voglia di farne sempre di più! Ormai è diventata una tradizione, ogni volta che segno mi viene in mente e lo faccio.

ICN: Quando eri ragazzino avevi un idolo calcistico? Ti ispiravi a lui per migliorare?

AV: Mio padre tifa Arsenal e quando ero davvero ragazzino, l’Arsenal era la mia squadra. Mi diceva sempre «questa è la nostra squadra» quindi seguivo soprattutto le grandi partite ed il mio preferito era Dennis Bergkamp. Poi ovviamente Thierry Henry. Anche se in realtà il mio più grande idolo era Ronaldinho ed adoravo anche Ronaldo, il Brasiliano. Quando fuori faceva brutto tempo, stavo a casa guardando video di questi due fenomeni e ti ridavano il sorriso. Però per quanto riguarda gli atleti a cui mi ispiravo erano soprattutto grandi lavoratori, come noi Islandesi, grandi atleti come Michael Jordan e Kobe Bryant.

ICN: Hai 26 anni ma hai già viaggiato tantissimo nella tua carriera e ti sei sempre messo alla prova con grande impegno. Quale consiglio daresti ai ragazzi che sognano di diventare calciatori professionisti proprio come te?

AV: Probabilmente il miglior consiglio che ho da dare è di fare tutto sempre con il massimo impegno, in questo modo non sbagli mai. In ogni caso, se qualche errore lo fai, non è grave, puoi comunque imparare da quegli sbagli. La cosa più importante per me è stata proprio questa, imparare dai miei errori. Per ottenere dei risultati si deve lavorare tanto, fare sacrifici ma soprattutto farlo con passione. Poco importa quello che fai nella vita ma fallo con passione. Devi sempre credere in te stesso. Se fosse facile, tutti sarebbero calciatori. Lavora duro, fallo con passione e divertiti, perché il tempo passa davvero in fretta. I momenti difficili sono tanti ma quando poi ottieni risultati, quella è la migliore ricompensa possibile, dimentichi tutto il resto. Non puoi sapere cosa ti riserverà il domani quindi oggi dai sempre il meglio di te. No regrets.

Dopo quasi due ore di conversazione, bevuto il caffé, arriva il momento che più mi ha fatto ridere. Lo saluto, lo ringrazio per il suo tempo e lui mi risponde: «Come potevo rifiutare l’invito di un ragazzo Italiano, che vive in Francia ma che parla di Calcio Nordico? Dovevo necessariamente conoscerti ahah». Mito.

Finisce qui la nostra lunga ma piacevole discussione riguardo al Calcio ma un po’ più in generale al mondo Nordico. Ci tengo davvero a ringraziare Árni Vilhjálmsson per la sua disponibilità oltre che per la simpatia con la quale ha risposto alle mie mille domande. Il mio augurio è che trovi presto la squadra adatta alle sue aspirazioni e che scriva ancora bellissime pagine della sua già importante carriera!

La riproduzione anche parziale dell’intervista è severamente vietata in virtù delle norme vigenti sul copyright. L’articolo è proprietà esclusiva de © “Il Calcio Nordico”.

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